Mostra “Migranti, la sfida dell’incontro”

Troppo spesso, al giorno d’oggi, dimentichiamo che siamo tutti persone. Tutto ci porta a pensare ci siano persone meno umane di altre persone o viceversa, che ci si possa prendere cura degli oggetti e usare le persone, che la felicità sia solo un diritto di quei pochi che hanno la fortuna di nascere nel posto giusto, che le ingiustizie di cui il nostro vicino di casa è vittima non ci riguardano. La mostra “Migranti, La sfida dell’incontro”, svoltasi presso palazzo Garofalo tra il 19 e il 26 settembre, penso sia stata l’occasione per fare un passo indietro e realizzare che siamo tutti persone. Il fenomeno migratorio attualmente, rappresenta una delle più grandi questioni che tiene impegnati intellettuali, governi ed esperti. Sono circa 244.000.000 le persone nel mondo che per vari motivi quali la guerra, le carestie, le persecuzioni vivono in un paese diverso da quello di nascita, molti di questi si stanziano nei paesi limitrofi al loro nella speranza di ritornare. La mostra non propone una soluzione al problema, ma è più un approfondimento su quella che è la vera sfida per ogni migrante ovvero l’incontro con una cultura e persone completamente nuove; incontro che può avvenire solo nel totale rispetto reciproco della cultura altrui.  Diceva Dostoevskij

“Io mi sento responsabile appena un uomo posa il suo sguardo su di me”;

è la frase che secondo me meglio riassume la mostra perché, si, è vero, noi non possiamo risolvere il problema delle migrazioni ma possiamo fare in modo che l’incontro con l’altro diventi un’occasione per scoprire altre realtà e anche noi stessi, approfondendo la nostra identità. La mostra mi ha dato occasione di riflettere e penso che l’indifferenza sia ciò che più separa noi dal comprendere e aiutare i migranti. Se noi provassimo a sbrogliare la matassa della migrazione da un punto di vista geopolitico potremmo infatti fallire o avere successo, ma, se invece provassimo a sbrogliare la matassa che è in ogni persona che abbandona il proprio paese d’origine quindi, accoglierlo, porgere loro una spalla, un orecchio o semplicemente la nostra comprensione a quel punto avremmo successo sicuramente. La mostra è stata quindi molto interessante, specialmente perché offre nuovi punti di vista, nuovi spunti di riflessione su un problema che riguarda sia bianchi che neri,  asiatici, americani e cinesi, in quanto, come diceva Mandela, tutti abbiamo il sangue rosso.

 

[text_block text=”” _fw_coder=”aggressive” __fw_editor_shortcodes_id=”05a33509790328a0c35a4ead5b055c84″][/text_block]

Davide Cataudella

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *