Thomas Sankara : La mia rivoluzione si chiamava felicità.
« Lo spirito è soffocato, per così dire, dall’ignoranza. Ma non appena l’ignoranza è distrutta, lo spirito risplende, come il sole privo di nuvole » Thomas Sankara
Sono 728.685.586 le persone denutrite nel mondo, circa 29.718 le persone morte di fame oggi, 589.728.784 le persone senza accesso all’acqua potabile, 39.468.185 le persone affette da AIDS, sono 776.000.000 gli analfabeti nel mondo.
Questo l’elenco delle persone escluse dalla felicità al giorno d’oggi, se consideriamo per felicità l’accesso all’acqua potabile, cibo sufficiente, l’essere in buona salute, l’avere scuole e case decenti.
Per quanto possa sembrare un’idea utopica ,la felicità non può essere solo una realtà per pochi, non è giusto. Non è giusto che il troppo benessere di pochi sia inversamente proporzionale all’assoluta povertà di molti, non è giusto che Stati interi siano privati delle loro ricchezze, che per la maggior parte degli uomini, diritti per noi scontati non siano altro che mera utopia. Ma allora come fare? Dobbiamo forse rassegnarci all’idea che la giustizia sia solo un concetto astratto? Ci sono stati uomini che intrinsecamente si sono opposti a tutto ciò per fare in modo che la giustizia assuma caratteri più concreti?
Si, ci sono stati uomini che si sono battuti per la felicità di qualcun altro oltre che per la propria, ci sono tutt’ora, solo che restano personaggi di nicchia.
Uno di questi è Thomas Sankara, presidente della terra degli “uomini integri” ,il Burkina Faso, dal 1983 al 1987. Thomas Sankara nacque nel 1949 nel dipartimento di Yako in Alto Volta, ex colonia francese, figlio di genitori poverissimi, ebbe la fortuna di frequentare la scuola e conseguire il diploma. Purtroppo per lui, l’unico modo per completare gli studi era quello di arruolarsi nell’esercitò, si arruolò e durante la sua carriera militare in Madagascar si avvicinò alle idee marxiste e Leniniste. Ritornò in Alto Volta , partecipò a varie guerriglie e, nel giro di pochi anni, divenne ufficiale. Sankara non era un guerrafondaio nè tantomeno riteneva che la guerra fosse una soluzione accettabile per risolvere i problemi di una nazione, infatti per quel che riguarda la formazione dei militari ed il loro ruolo nella società lui , che era un militare, disse che “Un militare senza formazione politica non è che un potenziale criminale”.
Venne nominato Segretario di Stato durante la presidenza del colonnello Saye Zerbo, salito al potere dopo un colpo di stato, con il quale Sankara era in aperto contrasto in quanto secondo lui troppo lontano dalle esigenze della popolazione. Di fronte al lusso esagerato in cui vivevano le alte sfere dell’esercito, Sankara mostrava una semplicità più unica che rara tanto da presentarsi in bicicletta alla prima riunione di governo. Nel 1982 rassegnò le dimissioni. “Non posso contribuire a servire gli interessi di una minoranza” disse in televisione per motivare le sue dimissioni.
Subito dopo il colonnello Saye Zerbo fu deposto e salì al potere con un colpo di stato Jean-Baptiste Ouédraogo, il quale, non potendo ignorare la popolarità che Sankara aveva conquistato per il suo carattere che sembrava autenticamente vicino alle richieste delle fasce più deboli della popolazione, lo nominò Primo Ministro. Dopo appena 1 anno, nel 1983, Thomas Sankara con l’ennesimo colpo di stato prese il potere e divenne presidente all’età di 35 anni. “Forza di carattere, coraggio, dedizione al lavoro, probità e onestà” dovranno essere le caratteristiche dei suoi ministri, annuncia nel discorso d’insediamento.
Esattamente un anno dopo il suo insediamento, nel 1984, cambiò il nome del Paese da Alto Volta in Burkina Faso, che in More e Djoula, i due idiomi più diffusi nella nazione, significa “Terra degli uomini integri”.
Val la pena ricordare che l’Alto Volta era uno dei Paesi più poveri del mondo sia sulla carta, a guardare le statistiche internazionali, sia nella realtà. “Un Paese di sette milioni di abitanti, più di sei milioni dei quali sono contadini; un tasso di mortalità infantile stimato al 180 per mille e un tasso di analfabetismo del 98%, se definiamo alfabetizzato chi sa leggere, scrivere e parlare una lingua; un’aspettativa di vita media di soli 40 anni; un medico ogni 50.000 abitanti; un tasso di frequenza scolastica del 16%” ,dirà Sankara in un suo discorso all’ONU.
Cominciava così la scalata della felicità per i burkinabè, la scalata per la conquista di una società che non avrebbe più visto sfruttati e sfruttatori, la scalata per una società speculare ai diritti dell’uomo quali giustizia, libertà e felicità. La felicità era il criterio base del suo governo, la politica aveva senso solo se rendeva felici i governati e non i governanti i quali erano invece chiamati a trasparenza assoluta. Per felicità Sankara intendeva cose molto concrete quali 2 pasti e 10 litri di acqua al giorno, non vedere morire i propri figli per malattie facilmente curabili, andare a scuola, potersi dedicare alle proprie passioni e non essere schiavizzati da leggi e regole tradizionali.
Il programma politico di Sankara comprendeva soprattutto il miglioramento delle condizioni delle donne. Sankara assegnò a numerose donne il ruolo di ministro e cariche militari, abolì la poligamia e vietò l’infibulazione.
Il Burkina Faso fu il primo paese africano a indire i tribunali popolari, chiamati Case del popolo, con una corte presieduta da un giudice di carriera, due giudici non professionisti, un militare e quattro membri dei Comitati di difesa della rivoluzione. La gente poteva recarsi ai processi presenziando come pubblico e partecipando al dibattito.
Sankara dava grande importanza alla cooperazione internazionale, ma riteneva fosse da riformare. Criticò gli esperti di economia e i burocrati, unici veri ideatori nonché proponitori di strategie, che, in cambio della consulenza agli stati, si facevano pagare cifre d’oro, denunciò le potenze occidentali responsabili delle politiche , quali le ruberie di materie prime, che attanagliavano gli stati africani impedendo loro qualsiasi forma di sviluppo. Di seguito si elencano alcuni dei successi raggiunti dal governo Sankara :
• Vaccinati 2.500.000 bambini contro morbillo, febbre gialla, rosolia e tifo. L’Unicef stesso si complimentò con il governo.
• Creati Posti di salute primaria in tutti i villaggi del paese.
• Aumentato il tasso di alfabetizzazione.
• Realizzati 258 bacini d’acqua.
• Scavati 1.000 pozzi e avviate 302 trivellazioni.
• Stoccati 4 milioni di metri cubi contro 8,7 milioni di metri cubi di volume d’acqua.
• Realizzate 334 scuole, 284 dispensari-maternità, 78 farmacie, 25 magazzini di alimentazione e 3.000 alloggi.
• Creati l’Unione delle donne del Burkina (UFB), l’Unione nazionale degli anziani del Burkina (UNAB), l’Unione dei contadini del Burkina (UPB) e ovviamente i Comitati di difesa della rivoluzione (CDR), che seppur inizialmente registrarono alcuni casi di insurrezione divennero ben presto la colonna portante della vita sociale.
• Avviati programmi di trasporto pubblico (autobus).
• Combattuti il taglio abusivo degli alberi, gli incendi del sottobosco e la divagazione degli animali.
• Costruiti campi sportivi in quasi tutti i 7.000 villaggi del Burkina Faso.
• Soppressa la Capitazione e abbassate le tasse scolastiche da 10.000 a 4.000 franchi per la scuola primaria e da 85.000 a 45.000 per quella secondaria.
• Create unità e infrastrutture di trasformazione, stoccaggio e smaltimento di prodotti con una costruzione all’aeroporto per impostare un sistema di vasi comunicanti attraverso l’utilizzo di parte di residui agricoli per l’alimentazione.
Sankara era un uomo umile, ed estremamente carismatico, raccontano i suoi amici Un uomo straordinario, sosteneva la collaborazione tra le persone, e detestava la competitività, che innalza uno per abbassare l’altro. Non si batteva solo per i diritti dei burkinabee ma anche per tutti gli sfruttati del mondo. A tal proposito risulta essere interessante una parte del suo discorso all’ONU nel 1983:
“D’ora in avanti, saremo tutti noi a ideare e decidere tutto. Non permetteremo altri attentati al nostro pudore e alla nostra dignità.
Rafforzati da questa convinzione, vorremmo abbracciare con le nostre parole tutti quelli che soffrono e la cui dignità è calpestata da un pugno di uomini o da un sistema oppressivo.
Chi mi ascolta mi permetta di dire che parlo non solo in nome del mio Burkina Faso, tanto amato, ma anche di tutti coloro che soffrono in ogni angolo del mondo. Parlo in nome dei milioni di esseri umani che vivono nei ghetti perché hanno la pelle nera o perché sono di culture diverse, considerati poco più che animali. Soffro in nome degli Indiani d’America che sono stati massacrati, schiacciati, umiliati e confinati per secoli in riserve così che non potessero aspirare ad alcun diritto e la loro cultura non potesse arricchirsi con una benefica unione con le altre, inclusa quella dell’invasore. Parlo in nome di quanti hanno perso il lavoro, in un sistema che è strutturalmente ingiusto e congiunturalmente in crisi, ridotti a percepire della vita solo il riflesso di quella dei più abbienti.
Parlo in nome delle donne del mondo intero, che soffrono sotto un sistema maschilista che le sfrutta. Per quel che ci riguarda siano benvenuti tutti i suggerimenti, da qualunque parte del mondo, circa i modi per favorire il pieno sviluppo della donna burkinabé. In cambio, possiamo condividere con tutti gli altri paesi la nostra esperienza positiva realizzata con le donne ormai presenti ad ogni livello dell’apparato statale e in tutti gli aspetti della vita sociale burkinabé. Le donne in lotta proclamano all’unisono con noi che lo schiavo che non organizza la propria ribellione non merita compassione per la sua sorte. Questo schiavo è responsabile della sua sfortuna se nutre qualche illusione quando il padrone gli promette libertà. La libertà può essere conquistata solo con la lotta e noi chiamiamo tutte le nostre sorelle di tutte le razze a sollevarsi e a lottare per conquistare i loro diritti.
Parlo in nome delle madri dei nostri paesi impoveriti che vedono i loro bambini morire di malaria o di diarrea e che ignorano che esistono per salvarli dei mezzi semplici che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo piuttosto investire nei laboratori cosmetici, nella chirurgia estetica a beneficio dei capricci di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato dagli eccessi di calorie nei pasti, così abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel. Abbiamo deciso di adottare e diffondere questi mezzi semplici raccomandati dall’OMS e dall’UNICEF.
Parlo, anche, in nome dei bambini. Di quel figlio di poveri che ha fame e guarda furtivo l’abbondanza accumulata in una bottega dei ricchi. Il negozio è protetto da una finestra di vetro spesso; la finestra è protetta da inferriate; queste sono custodite da una guardia con elmetto, guanti e manganello, messa là dal padre di un altro bambino che può, lui, venire a servirsi, o piuttosto, essere servito, giusto perché ha credenziali garantite dalle regole del sistema capitalistico.
Parlo in nome degli artisti – poeti, pittori, scultori, musicisti, attori – che vedono la propria arte prostituita per le alchimie dei businessman dello spettacolo. Grido in nome dei giornalisti ridotti sia al silenzio che alla menzogna per sfuggire alla dura legge della disoccupazione. Protesto in nome degli atleti di tutto il mondo i cui muscoli sono sfruttati dai sistemi politici o dai moderni mercanti di schiavi.
Il mio paese è la quintessenza di tutte le disgrazie dei popoli, una sintesi dolorosa di tutte le sofferenze dell’umanità, ma anche e soprattutto una sintesi delle speranze derivanti dalla nostra lotta. Ecco perché ci sentiamo una sola persona con i malati che scrutano ansiosamente l’orizzonte di una scienza monopolizzata dai mercanti d’armi. Il mio pensiero va a tutti coloro che sono colpiti dalla distruzione della natura e ai trenta milioni di persone che muoiono ogni anno abbattute da quella terribile arma chiamata fame.
Parlo qui in nome di tutti coloro che cercano invano una tribuna davvero mondiale dove far sentire la propria voce ed essere presi in considerazione realmente. Molti mi hanno preceduto su questo palco e altri seguiranno. Però solo alcuni prenderanno le decisioni. Eppure, qui ufficialmente siamo tutti uguali.
Bene, mi faccio portavoce di tutti coloro che invano cercano un’arena dalla quale essere ascoltati. Sì, vorrei parlare in nome di tutti gli “abbandonati del mondo”, perché sono un uomo e niente di quello che è umano mi è estraneo. La nostra rivoluzione in Burkina Faso abbraccia le sfortune di tutti i popoli; vuole ispirarsi alla totalità delle esperienze umane dall’inizio del mondo. Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo e di tutte le lotte di liberazione dei popoli del Terzo mondo.”
Come tutte le stelle, anche quella di Sankara si spense. Aveva 38 anni. Venne ucciso il 15 ottobre 1987 insieme a dodici ufficiali , in un colpo di Stato organizzato dall’ex-compagno d’armi e collaboratore Blaise Compaoré con l’appoggio di Francia, Stati Uniti d’America e militari liberiani
Venne sepolto in una tomba anonima a Dagnoën, alla periferia di Ouagadougou, frequentemente soggetta ad atti di vandalismo , che è stata ricostruita e abbellita dai familiari in occasione del ventennale della sua morte, salvo poi essere danneggiata dai miliziani pro-Compaoré e nuovamente ricostruita a seguito della caduta del regime.
Come la sua tomba, continuamente abbellita e ricostruita anche il suo ricordo non deve essere da meno, e magari , anche noi , tenendo a mente ciò per cui si batteva il presidente degli “uomini integri”, potremmo, nel nostro piccolo, osare inventare l’avvenire ricordando che semplicemente perché siamo uomini, niente di quello che è umano ci è estraneo.
Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d’inventare l’avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l’avvenire -Thomas Sankara.
Fonti: http://thomassankara.net
http://www.worldometers.info/it/
https://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Sankara
http://www.giovaniemissione.it/categoria-testimoni/2203/thomas-sankara/
Davide Cataudella
Molto interessante. Ci fa aprire la mente