Adam

Ciao, sono Adam e sono ebreo. Mi piace considerare la mia vita come un foglio bianco su cui solo io posso scrivere e che solo io posso cambiare mettendo una linea sopra i miei sbagli. Mi piace sognare, mi piace sognare di essere un pilota e volare.
La maestra a scuola ci ha chiesto di scrivere su un foglio i nostri più grandi sogni e le nostre più grandi paure e io ho scritto così: “Io sogno di volare e poter fare il pilota, sogno di poter girare il mondo e vederlo dall’alto. Le mie più grandi paure sono il buio, la mamma quando mi sgrida e l’essere intrappolato”. La maestra mi mise dieci e disse che non dovevo mai smettere di sognare, io cercai sempre di seguire quel consiglio. Avevo tanti giocattoli a forma di aerei, amavo quei giochi, sognavo di pilotarli e guardare tutte le luci del mondo. Peccato, però, che io, quelle luci, non so se le avrei mai viste.
Un giorno la mia vita cambiò radicalmente, era tutto diverso, vedevo il mondo tramite una rete, vedevo la mia vita come un foglio a righe: con dei limiti, con dei precisi spazi, con delle sbarre, non più con libertà. La mamma mi disse che ci saremmo dovuti impegnare un po’ ad essere bravi: non dovevo urlare, non dovevo giocare, non dovevo lamentarmi per niente, sennò loro avrebbero fatto qualcosa di brutto a me e alla mia mamma.
Mangiavo il pane, le bucce di patate e bevevo acqua, certo: non era proprio un pasto prelibato come le polpette che faceva la mamma, ma non mi potevo lamentare. Mio papà non lo vedevo molto, era sempre fuori a lavoro e io stavo con la mamma, quelle poche volte in cui riuscivo a vederlo era sempre stanco, con gli occhi rossi e la cenere nei capelli; lì non ci si poteva mai lavare: non potevamo sprecare la loro acqua.
“Loro” ci insultavano e ci trattavano davvero male, “loro” erano i Nazisti. La mamma diceva che era come la favoletta del lupo cattivo: dovevamo stare tanto attenti a non farci mangiare. Un giorno vidi un fiore, in mezzo a tutto quel grigio c’era un bel fiore giallo. Io volevo portarlo alla mamma per farle un regalo, perché lei mi regalava sempre il suo pane quando mangiavamo, così lo presi da terra, ma un signore cattivo mi prese il braccio, io gli spiegai che era per la mamma, ma a lui non interessava. In poco tempo vidi anche la mamma venire verso di me e piangere, io pensavo fosse tanto arrabbiata, avevo fatto arrabbiare il lupo cattivo, per questo mi portarono in una stanza e mi rinchiusero lì per due giorni, senza la mamma. Io avevo paura, era buio ed era tutto chiuso, mi sentivo in trappola e non mi piaceva.
Con il passare del tempo dal mio viso cominciò a scomparire il sorriso e le mie mani cominciarono ad essere piene di calli e con tante crosticine. Con il passare del tempo smisi di sognare. La mamma, vedendomi triste, tirò fuori un piccolo aeroplanino che aveva costruito con quello che avevamo e quello, per me, fu la svolta, fu il mio fiore giallo, fu la fossetta che mi spunta ogni volta che rido, fu bello, bello finché non lo bruciarono. Sì, la vita faceva schifo, mi aveva voltato le spalle, ma avevo imparato una cosa: la vita cercherà sempre di strapparci i sogni, i sorrisi, le fossette, dobbiamo solo imparare a viverla e ad affrontarla e io, la mia, voglio affrontarla a testa alta.
La mamma mi disse che papà non ce l’aveva fatta, era morto mentre faceva la doccia o, almeno, così mi raccontò. Dopo questa perdita decisi che quella non era vita: era sopravvivenza, era l’attesa della distruzione. Così presi coraggio e decisi di affrontare a testa alta le mie paure, andai verso il buio, mi ribellai alla guardia. Dissi alla mamma che le volevo bene e che sarei stato felice. Un colpo secco di fucile mi trapassò il cuore. La mamma si fece sparare per accompagnarmi verso il buio.
Adesso sono qui a scrivere questa storia e a raccontare che la vita, a volte, è crudele, che l’uomo è crudele, e noi dobbiamo saper affrontare ogni cosa.
Finalmente avevo realizzato il mio sogno, volavo e guardavo tutto dall’alto.

 

Testo di Sofia Merli

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