L’immutabilità del sapere
Siamo consapevoli del fatto che tutto nella vita cambi… i nostri orizzonti, le nostre amicizie, i nostri limiti, e così anche nel mondo della letteratura. Infatti, oltre al susseguirsi, nel corso della storia, di titanici scrittori e tracotanti intellettuali, anche molte edizioni sono state diffuse, traduzioni e versioni di dialoghi, tragedie e, in generale, degli scritti dei molti eruditi dell’antichità per riadattarli alla modernità e alla comprensione del pubblico contemporaneo, ma con conseguenza di cambiare, se non contaminare, il significato originale delle opere; ma è davvero così? Ovvero, dai monaci amanuensi, come il monaco e letterato calabrese di madrelingua greca Leonzio Pilato, ai filologi umanisti, come Poggio Bracciolini o Lorenzo Valla, e dagli esametri ai versi in prosa, per quanto e come ci si è discostati dal tema principale, non rendendo così l’immensa profondità delle parole e dei periodi? Premettendo che nella traduzione la soggettività, il più delle volte, sia il timoniere che vira la mano del traduttore, si cercherà, comunque, di darvi una idea, fornendovi e lucidandovi con un confronto come, per esempio, la traduzione dell’Iliade di Monti con la versione ufficiale del proemio. Se, dunque, la trasposizione ufficiale del proemio dell’Illiade è “Canta, o dea, di Achille Pelide l’ira rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei, gettò in preda all’Ade molte forti vite di eroi, rese loro prede per i cani e per tutti gli uccelli –si compiva il volere di Zeus- da quando appunto all’inizio si divisero litigando l’Atride principe di eroi e lo splendido Achille”, allora la resa di Monti sarebbe così “Cantami, o diva, del Pelìde Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli achei , molte anzi tempo all’orco generose travolse alme d’eroi, e di cani e d’augelli orrido pasto lor salme abbandonò (così di Giove l’alto consiglio s’adempia ) , da quando primamente disgiunse aspra contesa il re de’ prodi Atride e il divo Achille”; l’autore, nel tradurre l’opera, non si preoccupa di renderla in un senso filologico, ma la riveste, così, nella versione di classicità che si immaginava all’epoca e in questo modo adattandola ai gusti del pubblico. Le parti più noiose, come il catalogo delle navi, vengono tagliate senza rammaricamento, per lasciare il posto al παθοσ dei personaggi e alla creazione di un’immagine che potremmo definire stereotipata della Grecia. Anche conoscendo in modo approssimativo il testo omerico, è evidente che gli endecasillabi sciolti di Monti non traducono fedelmente tutto il testo originario, in cui per altro non poteva comparire Giove, corrispondente a Zeus nella cultura greca. Così pure il pronome “mi” non è presente nella versione omerica, più impersonale da questo punto di vista, dato che non esiste ancora il senso di un soggetto che “canta”, ma piuttosto un’idea che ripropone il canto della Musa. Rimangono alcuni epiteti, spesso reinterpretati, come nel caso del “re de’ prodi”. A dato di fatto, si potrebbero illustrare tanti esempi e confronti, come la traduzione del proemio, sempre dell’Illiade, di Ugo Foscolo o Giovanni Pascoli o la traslitterazione del Decamerone di Aldo Busi e il Satyricon e le rielaborazioni della Bibbia, ma si converrebbe, alla fine, che tutte codeste copie rappresentino tante facce delle stesse medaglie; quindi, letteralmente parlando e rispondendo alla domanda, certamente gli uomini hanno cercato di preservare il sapere dalle grinfie del tempo e sarebbe logico pensare che nessuno o, quasi, sarebbe così tanto bravo a decifrare ogni singola parola dandone il vero significato di ciò che avrebbe voluto dire l’autore originale, poiché ogni persona è “un’isola da cui trarre le mille coloriture”, ma l’importante sarebbe che ogni opera costituisca una pietra miliare da cui trarre le più propizie ispirazioni, e in ciò sta l’immutabilità del sapere.
Articolo di Daniele Cataudella
Copertina di Federica Guastella